“Lo scoprire consiste nel vedere ciò che tutti hanno visto
e nel pensare ciò che nessuno ha pensato.”
Albert Szent-Gyorgyi
La maggior parte delle cose che vedo, dei posti che visito, li hanno visti senza dubbio molti altri prima di me, ma non ho proprio idea di quello che abbiano pensato. So quello che passa nella mia mente però, specie quando cammino per la prima volta nei vicoli di borghi antichi e ancora di più se sono disabitati: chissà com’era vivere qui, chissà se le persone andavano d’accordo o no, come si vestivano e come passavano le giornate?
Sono domande sciocche e so che esistono studi e ricostruzioni storiche in cui spiegano com’era la vita di un tempo in base ai luoghi e ai periodi, ma io non posso fare a meno di farmi domande simili, di fantasticare. Gironzolo con il naso all’insù e la macchina fotografica pronta.
A Viterbo l’8 aprile si è concluso il festival Mediora. Come tradizione vuole, l’ultima giornata è dedicata a un instameet la cui organizzazione e gestione è affidata al team di IgersViterbo. L’obiettivo di quest’anno era la scoperta della Teverina, un incantevole angolo della Tuscia.
La Tuscia oltre a essere comodamente raggiungibile da Roma in un’oretta di macchina, cosa che rende allettanti le gite giornaliere, è una zona che mi piace particolarmente. Date uno sguardo a San Giuliano e Vetralla.
Medioera
Medioera, arrivato quest’anno alla nona edizione, è un festival sulla cultura digitale e l’innovazione. Il nome, come si legge anche sul sito istituzionale, nasce dall’unione dei termini Medioevo e Nuova era. Il primo scelto per via delle origini del luogo in cui il festival nasce – Viterbo, antica città medievale –, e il secondo per l’era digitale, tema portante del festival.
Come tutti gli eventi del suo genere, anche Medioera punta a creare momenti di discussione intorno alle tecnologie digitali e i loro diversi impieghi. In questo format specifico, però, trova un posto importante anche la promozione e la valorizzazione del territorio. È proprio questa la ragione per cui l’ultima giornata è dedicata a un instameet, l’incontro di appassionati di fotografia e social media che raccontano i luoghi che visitano attraverso i loro canali.
Le tappe
Celleno, il borgo fantasma
La prima tappa ci ha condotti a visitare Celleno antica. Conosciuto come borgo fantasma – così dicono anche le indicazioni sui cartelli stradali –, si trova poco distante da Celleno nuova e da Civita di Bagnoregio, altro borgo antico, noto come la città che muore. I destini dei due borghi sembrano comuni: la progressiva scomparsa, dovuta all’erosione dei rilievi sui quali sorgono. Il tufo è un materiale argilloso e instabile che sotto l’azione degli agenti atmosferici, lentamente, si sgretola. Civita di Bagnoregio, a differenza di Celleno antica, ha subito una consistente opera di puntellamento, e questo sembra consentirle di resiste al fenomeno.
Il borgo di Celleno antica, al cui ingresso è posto il Castello Orsini, fu definitivamente abbandonato in seguito alla forte scossa di terremoto avvenuta nel 1855, colpo fatale che arrivò dopo varie sventure che colpirono questo luogo, tra cui un’epidemia che decimò la popolazione.
Il sottosuolo è un intreccio di cantine al momento non accessibili, ma le istituzioni locali, in collaborazione con l’Università di Viterbo (facoltà di Conservazione dei Beni Culturali), stanno vagliando dei progetti volti a ripristinarne l’agibilità e renderle visitabili.
L’atmosfera che ho avvertito passeggiando per Celleno antica era di essere sospesa a mezz’aria, come se il tempo fosse una dimensione inesistente. Mi sentivo avvolta, come i vicoli e gli edifici, in un fitto mistero.
Per ulteriori curiosità storiche e architettoniche, vi consiglio l’articolo di Lazio nascosto.
La Serpara, il parco-museo
Il tour è proseguito poi alla volta della Serpara. Si tratta di un parco-museo ideato e realizzato dall’artista svizzero Paul Wiedmer.
Il parco è un continuo intreccio tra natura, installazioni e sculture; il visitatore, lungo il percorso, non è chiamato solo a osservare, ma è continuamente stimolato a scoprire e interrogarsi su ciò che osserva. Gli orari di accesso al parco non sono definiti, nulla sembra esserlo, neanche gli spazi privati, anch’essi per lo più aperti. Quello che si percepisce è una continua alternanza tra reale e immaginario. I limiti e le barriere, qui, appaiono annullati.
Civitella d’Agliano
La tappa successiva ci ha visti arrivare a Civitella d’Agliano. Anche questo è un piccolo borgo medievale, al centro dell’abitato svetta la Torre Monaldeschi, dalla cui cima si può ammirare tutto il paesaggio circostante, i meravigliosi Calanchi di argilla e, quando l’aria è tersa, il borgo di Civita di Bagnoregio.
A Civitella d’Agliano ci siamo trattenuti per una veloce pausa pranzo a base di prodotti locali. Come gli altri insediamenti, anche questo affaccia sulla valle tiberina, zona di grande fascino dovuto a una bellezza naturale pressoché incontaminata.
Castiglione in Teverina: Intrecci e Azienda Vinicola Falesco
L’ultima parte della giornata l’abbiamo trascorsa insieme a Enrica Cotarella che ci ha portati a visitare Intrecci, un progetto formativo nato da un’idea sua e delle sorelle.
Come si legge sulla pagina principale del sito:
“Il progetto di Intrecci nasce con l’intento di formare delle nuove figure professionali in grado di rivoluzionare il mondo della ristorazione portando in vita una sala dove la classe, il calore e il carattere rappresentano dei pilastri fondamentali.”
La scuola si trova nello stesso complesso che ospita il MUVIS, Museo del Vino e delle Scienze Agroalimentari. Se amate il buon vino, il consiglio è di mettere in programma una bella visita in questa zona, incluso il museo. Vi raccomando di contattarli prima di andare, sul sito le informazioni risultano ancora in fase di definizione.
Subito dopo Intrecci ci siamo spostati, di poco, ma cambiando regione. L’Azienda Vinicola Falesco, una delle due sedi di produzione della famiglia Cotarella, si trova infatti a Montecchio, in provincia di Terni, sul confine tra Lazio e Umbria. Enrica ci ha raccontato la storia dell’azienda, strettamente legata a quella della sua famiglia. Furono il padre e lo zio, intorno agli anni sessanta, a dare vita alla prima cantina per produrre il loro vino. L’intento era quello di recuperare gli antichi vitigni della zona.
Dopo la visita abbiamo potuto degustare dell’ottimo vino, accompagnato da un ricco buffet di formaggi, affettati, pane bruscato e olio evo. Tutti prodotti locali.
Immersi nella natura, nel silenzio e sazi di bontà, credetemi, andare via è stato davvero difficile. Prima di concludere questo pezzo, vorrei ringraziare il team di IgersViterbo per l’impegno e per la bella giornata che ha organizzato.
Al prossimo anno!
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